La cellulite vista dalle femministe
Di Francisco Marquez
Se è vero che oltre il 90% delle donne soffre di cellulite, allora è giustificata l’affermazione che questo inestetismo può essere considerato, a buon ragione, il nemico pubblico numero uno della popolazione femminile mondiale. Nel tempo, contro la buccia d’arancia si sono lanciate feroci battaglie per cancellarla, eliminarla, distruggerla o, quantomeno, arginarla. Talvolta i risultati non si sono rivelati eccezionali, altre, invece, si è potuto raggiungere un grado di soddisfazione adeguato agli sforzi profusi in creme, massaggi, trattamenti estetici e chirurgici. Il termine "cellulite" è apparso per la prima volta in un dizionario francese nel 1873, ma la nascita della cellulite come problema avviene, nel secolo scorso, intorno agli anni '20 in Francia. Prima, non era riconosciuta, forse non era nemmeno "vista".
L’arte ci dimostra, infatti, come in alcune epoche della storia umana, le modelle scelte dai pittori non ne fossero certamente immuni. È solo negli ultimi cinquant’anni, poi, che la cellulite ha anche assunto un valore simbolico della fragilità femminile, della pressione consumistica cui le donne sono sottoposte nel doversi confrontare con i propri limiti fisici, fra ironie e disagi psicologici e sociali. Non è un caso, che il femminismo militante degli anni ’70 del novecento, si battè rabbiosamente condannando gli stereotipi sessisti presenti nell’immaginario collettivo, che stavano accentuando le diseguaglianze all’interno del mondo femminile, fra le donne normali e quelle irraggiungibili della moda e della pubblicità. Su questo dibattito si sono confrontati, in più occasioni, epistemologi, massmediologi, storici del costume e sociologi, via via alle prese con una serie di nuove conoscenze scientifiche "oggettive", relative ai cambiamenti fisiologici che avvengono nel corpo femminile col passare del tempo. Nel frattempo in un dibattito che è oscillato fra salute, bellezza e società, si è venuto a creare un mercato miliardario che ruota intorno al concetto di "cellulite". La preoccupazione per l’estetica e per la bellezza, ha trovato nella stampa e nei rotocalchi femminili il proprio volano, trasformandola in un obiettivo accessibile a tutti, in qualche modo “democratico” perché indipendente dalla propria posizione sociale. Soprattutto, alle donne si è trasmessa l'idea che lavorando sul proprio corpo, tra diete, attività fisica, cambiamenti di stile di vita, trattamenti più o meno invasivi, si può combattere il rischio dell’invisibilità sociale. Secondo la critica femminista, la letteratura popolare sulla cellulite e sui mezzi per sbarazzarsene sarebbe stato il mezzo più semplice tramite cui veicolare messaggi più profondi alle donne sul tipo di immagine da avere di se stesse. Ancor oggi per il mondo femminista la costruzione del "mito della bellezza", sarebbe il cuore di una strategia mediatica progettata per controbilanciare la crescita dell'indipendenza economica delle donne e del loro successo nel mercato del lavoro Ciò che rende provocatoria questa posizione è il ruolo che avrebbero avuto i medici nel loro contrasto alla cellulite. La medicina estetica, che agisce in un campo di intervento che riguarda il "rendere possibile la trasformazione", vale a dire favorire l'idea del corpo umano come entità infinitamente perfettibile, favorirebbe la convinzione che la natura sarebbe "migliorabile". Intervenendo su un corpo umano imperfetto, il medico e il chirurgo estetico contribuirebbero di contro alla definizione di un viso o di un corpo umano ideali, assoluti. Cambiando il significato più profondo dell'idea del corpo femminile, si sarebbe progressivamente spostato il confine tra "normale" e "patologico", fra il sano e l’inestetico. Convinzioni forti, che in molti considerano impregnate di una eccessiva valenza politica. In realtà, è sorprendente che la cellulite, come carattere sessuale secondario delle donne che si manifesta in maniera imprevedibile sulle cosce e sui glutei, sotto l’azione degli ormoni femminili, possa essere arrivata al centro del dibattito sull’emancipazione femminile. Un discorso che esula dall’ambito scientifico, come ben si comprende ripercorrendo la storia del costume, dall’inizio del secolo scorso quando il termine cellulite venne usato per primi dai medici francesi per designare uno stato infiammatorio, o addirittura un ascesso, della regione pelvica nelle donne, mentre i reumatologi lo usavano di più per indicare una pannicolite caratterizzata da alterazioni del tessuto cellulare sottocutaneo della parete addominale. Anche in Germania si adottò il termine panniculite, mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti si preferì la parola "fibrosite" ma ciò non fece altro che aumentare la confusione, ritardando il riconoscimento della cellulite come una patologia autonoma, caratterizzata da più stadi progressivi. C’è da riconoscere che per l’assenza dei moderni strumenti diagnostici i medici dell’epoca potevano contare solo sull’osservazione e sulla palpazione che mettevano in evidenza un infiltrato interstiziale, fatto di grani e noduli sotto la pelle, sui piani resistenti, a livello dei muscoli, di cui, però, non si comprendeva ancora la natura e la costituzione. Si pensò quindi che la cellulite fosse il risultato di un’intossicazione, ovvero un accumulo di rifiuti metabolici, nei cui riguardi era legittimo, se non proprio necessario, l’intervento del medico. Più specificamente, si pensava a un riassorbimento delle tossine attraverso la mucosa intestinale delle donne che portava a una reazione infiammatoria del tessuto connettivo in sedi privilegiate, dalle caviglie alle cosce, dalle regioni addominali al collo.
È in questo stesso periodo che la cellulite diviene una patologia specificamente femminile, al punto che molti studiosi la chiamavano “cellulite ginecologica”, le cui cause attribuite a uno "stile di vita sedentario, atteggiamenti stancanti mantenuti a lungo (lavoro), l'inattività fisica (cioè la vita nelle grandi città), neuroartrite, trauma coniugale e, nelle vergini, disturbi del ritmo della circolazione utero-ovarica e secrezioni ormonali "(Wetterwald, 1932). Si iniziava a parlare anche di “ingorgo linfatico” come filrouge in grado di legare secondo una logica coerente e sistematizzata, i diversi sintomi e localizzazioni. Da non sottovalutare che negli stessi anni, e ancor di più dopo la II Guerra Mondiale, nacque sia in Europa che negli Stati Uniti, il fenomeno della “lipofobia”, ovvero il rifiuto della grande obesità e l’individuazione nella dieta volontaria di un'opzione per il mantenimento di un corpo magro. Il grasso diviene "brutto" e "cattivo", ed essere sovrappeso viene attribuito a "debolezza di carattere”, con il discorso sull'obesità che assume quasi una valenza morale. Nelle riviste femminili dell’epoca, compaiono i primi servizi di moda che promuovevano la magrezza con riferimenti alla salute, in particolare agli svantaggi dell'obesità. È sulle riviste femminili che viene a delinearsi un corpo femminile, nuovo, "ideale" con consigli, interviste e rubriche mediche per intervenire su di esso, per manipolarlo e riportarlo nella sua forma normale. Diviene imperativo fare ginnastica perché, nelle donne, il lavoro
non dovrebbe mai impedire di essere belle. Il motto "nulla è malleabile come il corpo umano" diviene la filosofia della chirurgia estetica, e poiché l'abbigliamento sempre più corto ha reso più visibile il corpo femminile, le proporzioni ideali diventano un obiettivo, ma anche un sogno spesso irragiungibile. Siamo giunti al punto chiave: la magrezza assume un valore socialmente riconosciuto come una dimostrazione della volontà dell'individuo e non come una limitazione (più o meno imposta) della propria dieta.
Compressione e vibrazione per combattere efficacemente la cellulite e lavorare sulla muscolatura corporea
La maggior parte dei trattamenti anti-cellulite, sono basati sul concetto di “aspirazione-trazione” dei tessuti. Un diverso approccio è quello della FenixGroup che ha invece puntato sulla tecnologia Endosphères Therapy basata sul binomio “compressione-vibrazione”. Secondo gli studi condotti da alcuni centri di ricerca come il Dipartimento di Fisioterapia dell’Università “G.D’Annunzio” di Chieti, l’Istituto perle Tecnologie Biomediche Avanzate di Chieti e l’Accademia Italiana della Bellezza” di Arezzo, la metodica è in grado di agire sulle modificazioni tissutali della cellulite ripristinando le condizioni vascolari e dei tessuti, ed effettuando un rimodellamento localizzato sull’inestetismo. La tecnologia sfrutta l’azione di un rullo con 55 sfere di silicone anallergico che generano vibrazioni meccaniche a bassa frequenza, agendo su stasi linfatica, accumulo di liquidi, aggregati di cellule adipose. La disposizione a “nido d’ape” degli organi vibratori sul cilindro, insieme alla micro-compressione praticata sui tessuti, produce una stimolazione profonda a livello vascolare e metabolico. Il tessuto subisce dei sollevamenti che generano una “ginnastica vascolare” migliorando il microcircolo mentre il movimento delle sfere crea un effetto “pompa”, grazie a un’azione pulsata e ritmica indotta dal senso di rotazione del cilindro, attivando il sistema linfatico. Non solo: l’azione oscillatoria delle sfere determina lo scollamento degli adipociti responsabili della formazione della rete fibrosa, causa della “buccia d’arancia”, e la disgregazione degli aggregati adiposi e dei setti fibrosi, rendendoli meno sclerotici. L’effetto è quello di un’azione “tonificante e distensiva”. Le vibrazioni meccaniche, poi, provocano l’attivazione dei fusi neuromuscolari, responsabili dell’allungamento e del movimento del muscolo sollecitando così il “riflesso tonico da vibrazione” che consiste nella contrazione muscolare dell’agonista e rilasciamento dell’antagonista. Lo stimolo vibratorio, può quindi essere assimilato a un susseguirsi di contrazioni di piccola ampiezza, che portano significativi cambiamenti di tipo ritmico della lunghezza del complesso muscolo-tendineo. Stimoli meccanici periodici, protratti nel tempo, sono considerati un potente segnale per i propriocettori muscolo-articolari, che dalla periferia inviano segnali a livello del SNC, il quale genera una risposta efferente, attivando i motoneuroni e quindi le fibre muscolari. Tutto ciò permette risultati visivamente immediati e un potenziamento a lungo termine, sui principali gruppi muscolari. Per di più grazie all’azione vascolarizzante si genera una rilevante iperemia che migliora la captazione dell’ossigeno e delle sostanze nutritizie, favorendo il corretto trofismo muscolare.
FONTE: (Articolo tratto dalla rivista “La Pelle” Gennaio/Febbraio 2020)