Identità virtuale e medicina estetica
Una delle tematiche più controverse legate alle nuove tecnologie applicate ai sistemi di sicurezza, riguarda senza dubbio la presunta limitazione della libertà individuale. Che si tratti dell’accesso semplificato a uno smartphone o alla propria banca online oppure dell’ingresso in determinati edifici, oggi è possibile utilizzare semplicemente la nostra impronta o farci riprendere il viso da un sensore per accedere a determinate impostazioni, evitando di ricordare cervellotici codici numerici ma soprattutto riducendo a zero la possibilità che qualcuno possa spacciarsi per noi accedendo ai nostri dati.
Uno dei principali punti deboli di questo tipo di procedure riguarda la possibilità che qualsiasi distretto corporeo si decida di utilizzare per il riconoscimento, che si tratti del viso o dell'impronta digitale, questo possa essere comunque replicato. Altra fonte di perplessità è che, in determinate situazioni, l’Intelligenza Artificiale che effettua il riconoscimento possa incorrere in errori che renderebbero necessario resettare i protocolli di sicurezza previsti. La maggior parte dei sistemi di riconoscimento facciale funzionano “catturando” i diversi punti nodali di un volto umano. I valori misurati rispetto alla variabile associata ai punti del volto permettono di identificare la persona. Il vantaggio è che in alcuni contesti il riconoscimento di un volto, e quindi tutti i dati che lo riguardano, può avvenire anche a distanza. I problemi che gli analisti evidenziano, però, sono molteplici. Il primo è che per essere certi che la App di turno “legga” correttamente il volto, devono esserci le stesse o quantomeno simili condizioni di luce di quando si è registrata per la prima volta la propria faccia. Un altro svantaggio è che non sempre i “lettori” associano determinati tratti somatici alle espressioni provocate dalle emozioni. Se si piange, molto presumilbilmente, con gli occhi gonfi e arrossati e gli angoli della bocca all’ingiù, l’intelligenza artificiale potrebbe avere difficoltà a riconoscerci. Stesso discorso dicasi per l’uso del make-up, capace in alcuni casi di trasformare letteralmente i tratti somatici di un volto calcando sulle zone d’ombra e sull’eliminazione di difetti. Il problema è che si utilizzano software che lavorano su immagini 2D; da una foto in due dimensioni, è possibile rilevare la distanza pupillare e la larghezza della bocca ma non la lunghezza del naso o la larghezza della fronte. I maggiori fautori di queste tecnologie, spiegano che si tratta di problemi marginali, superabili migliorando semplicemente la parte hardware di un sistema di sicurezza. In pratica migliore è la telecamera, meno questa si farebbe “distrarre” da variazioni climatiche o stati psicologici. Inoltre l’utilizzo della tecnologia 3D consentirebbe di superare anche i limiti delle misurazioni delle diverse parti del volto.
Ma il vero interrogativo che ci poniamo è un altro: come sarà possibile il riconoscimento facciale in caso di interventi di chirurgia o medicina estetica? Non pensiamo solamente agli interventi estremi e magari poco riusciti in cui vengono trasformate completamente una bocca o gli zigomi. Se davvero in futuro anche i nostri documenti saranno improntati sul riconoscimento facciale elettronico, allora per un semplice intervento di rinoplastica sarà necessario andare dai carabinieri per rifare la patente, recarsi in banca per cambiare le “immagini di accesso al proprio conto”, persino fare la spesa potrebbe diventare impossibile, figuriamoci viaggiare o lavorare. Sembra una provocazione ma in realtà sono quesiti su cui anche il mondo accademico e istituzionale si sta concentrando. Pensate che recentemente il dott. Afzel Noore, Professore della West Virginia University, ha condotto uno studio sulle capacità di diversi software per il riconoscimento facciale basandosi su un archivio fotografico di 506 persone che hanno subito interventi di chirurgia estetica. Ebbene le intelligenze artificiali testate erano capaci di identificare una persona che aveva effettuato un intervento alle palpebre solo nel 41% dei casi, percentuale che scendeva a un misero 2% dopo un lifting. E nel caso in cui a colpire fosse l’evento più fisiologico e traumatico di tutti, ossia l’invecchiamento? Le App verranno dietro alle nostre rughe in maniera intelligente o magari capiterà che il giorno in cui decidiamo di accedere a una cassetta di sicurezza il dipendente di turno ci chiederà di portare nostro figlio per essere sicuri che l’occhio elettronico abbia qualche possibilità di riconoscerci? Forse, la risposta più preoccupante è che in un futuro dominato dalla tecnologia, come quello prospettato, gli interventi di chirurgia plastica verranno messi fuori legge in quanto andrebbero a influire sui protocolli di sicurezza delle nostre città.
Probabilmente aumenterebbe (e già sta succedendo) di contro, la richiesta di trattamenti microinvasivi che non ricreano dal nulla una bellezza sfiorita ma agiscono ridonando luce e grazia alla pelle in maniera naturale. Un ritorno al passato per affrontare meglio l’incedere impetuoso di un futuro sempre più tecnologico.
FONTE: (Articolo di Ernesto Ravaghe pubblicato sulla rivista "La Pelle", Luglio/Agosto 2020)